giovedì 14 aprile 2016

GRAZIE.


Alla fine è arrivato, quel giorno che tanto abbiamo sperato non arrivasse. Come in una vacanza o in un viaggio arriva il giorno in cui si devono richiudere le valigie. Si può dire che proprio questo è stato: un viaggio; un lunghissimo viaggio.
Non è stato sempre bello e non è stato sempre facile, ma è stata questa la tua forza e la tua importanza: nei momenti non belli ti sei migliorato, nei momenti difficili ti sei rialzato ed hai cominciato a correre più forte ed a lavorare più duramente.
Io sento di doverti ringraziare per tutto, non solo per aver contribuito a rendere il Nostro sport ancora più bello, ma per le lezioni che mi hai dato su cosa è l’impegno, cosa la passione, e cosa significa lavorare per raggiungere un obbiettivo.
Grazie per avermi fatto capire quanto sia importante lavorare ogni giorno su di noi per diventare quello che vogliamo, per diventare i numeri uno.
Grazie per avermi fatto capire dove si può arrivare impegnandosi ogni santo giorno.
Grazie per avermi fatto capire che dove non possono arrivare gli altri possiamo e dobbiamo arrivare noi, per il bene di una squadra.
Grazie per avermi fatto capire che non importa da dove partiamo, ma dove vogliamo arrivare ed il tipo di tragitto che abbiamo intenzione di fare.
Grazie per avermi fatto sentire più bravo degli altri solo per averci messo tutto il mio impegno e qualche volta anche di più.
Grazie per tutte le volte che fasciandomi una caviglia ho pensato a quanto valesse la pena rompersela per quello sport.
Grazie per avermi fatto pensare di essere su una nuvola ogni volta che ti ho visto giocare.
Grazie per le tue partite brutte che mi hanno fatto capire che si può sbagliare, che bisogna ricordare i nostri errori e lavorare affinché non si ripetano.
Grazie per le tue partite belle in cui mi sembrava di vedere Caravaggio all’opera.
Grazie di tutto il tempo che mi hai fatto trascorrere con te e grazie di tutto il tempo che indirettamente hai trascorso con me su un campo da basket.
E grazie per tutte le altre cose che non ho scritto, che ho nella mia testa ma non riesco a tramutare in frasi di senso compiuto.
Grazie Kobe, è stato un viaggio fantastico.

martedì 29 settembre 2015

Chi aveva ragione, Il Padre o Il Capocomico?

La grandezza di qualsiasi cosa di artistico sta nel rimanere sempre costante nella sua bellezza e validità ed allo stesso tempo cambiare significato a seconda del nostro periodo storico. Pirandello è colui che ha rivoluzionato non solo il teatro o l’arte in generale, ma anche il nostro modo di rapportarci con le persone. Ha cambiato la vita.

Quando ero più giovane, quando avevo 18 anni e pensavo che i miei pensieri e le mie idee fossero incorruttibili, anche se poi ero consapevole che prima o poi avrei cambiato sia gli uni che le altre, diedi la prima interpretazione, per banale che fosse, dei “Sei Personaggi in cerca d’autore” come ero abituato a fare all’epoca, ovvero con un infantile schema buono-cattivo. In questa schematica visualizzazione i personaggi erano i buoni, incorruttibili, perfetti, con una personalità fissata ed unica, erano loro e basta, mentre gli attori, sempre dediti al cambiamento, sempre interpretando chi non erano, essendo quindi persone vuote, dei nessuno, erano inevitabilmente i cattivi.

Andando avanti con gli anni mi resi conto, rileggendo tutto quanto forse per la ventesima volta, che non esisteva questo schema, e che invece sia da una parte che dall’altra c’era un tentativo per far capire all’altro le sensazioni che c’erano. L’opera si era trasformata in un dialogo, un drammatico ed incredibilmente crudele dialogo.

Oggi ho aperto gli occhi su questo pezzo d’arte per la terza volta, trovandomi di fronte ad una delle più grandi controversie che negli ultimi tempi sembra sconvolgere l’uomo, specialmente sui social network ed in particolare quello che uso di più, twitter: il problema della coerenza. Già perché quest’oggi mi trovate dalla parte del capocomico. E non perché è una persona che come me cambierà idea con passare del tempo, non perché è fatto di carne come me, a contrario del personaggio che è frutto di un’idea; sono dalla parte del capocomico perché oggi ho capito che lui è una persona, l’altro un personaggio. E solo un personaggio ha la facciatosta di poter dire che non cambia mai idea, perché è fatto così e vive la sua triste e piccola vita nel suo triste e piccolo mondo chiuso e ripetitivo (sto parlando dei personaggi del dramma, se non l’avete letto fatelo).

Il caro vecchio Gigi mi scuserà per averlo usato ancora una volta per parlare di un argomento così basso, ma non posso farci niente se quello che aveva in testa è applicabile a così tante cose anche a quasi 100 anni di distanza.

A quanto pare oggi è diventata una colpa non essere coerenti con le proprie opinioni, e per carità ci posso anche stare che se uno cambia idea ogni dodici secondi sia un po’ da biasimare o quantomeno prendere quello che dice con le pinze, guanti e quella tutona che si mettono i bombaroli per il disinnesco come in “The Hurt Locker”, ma da qui a non avere talmente un cazzo da fare che stare tutto il giorno in cerca da qualcuno da scovare che il giorno prima avesse un’opinione diversa mi sembra esagerato. Maniacale perlomeno. Tanto più che non esiste nulla di più fisiologico che cambiare idea, tranne forse andare al bagno. Cambiare significa crescere personalmente, avere più consapevolezza di quello che si sta facendo, non necessariamente rinnegare il proprio pensiero. Siamo di nuovo sullo stesso punto: le nostre idee cambiano a seconda del nostro momento. O volete dirmi che non avete mai creduto a Babbo Natale? Ah ci credete ancora?! Scusate! No no esiste, esiste!

La coerenza come la intende qualcuno che mi capita di leggere è semplicemente stupidità. La coerenza è la conformità tra quello che si pensa e quello che si fa, e non la conformità tra quello che si pensava ieri e quello che si penserà domani, né quello che pensavamo ieri e che faremo domani. La coerenza è qui ed adesso, è solo nel presente. Se odiate gli americani ma domani vi chiama vostro zio per regalarvi una villa a Miami Beach o a Malibù o un super attico a Times Square, tutto pagato, non gli dite “guarda, grazie ma no perché io gli americani non li sopporto”. E se glielo dite, beh peggio per voi -ovviamente è solo un esempio, uno può dire no per tutta un’altra serie di ragioni, ma non stiamo parlando di questo. Vi sfido a dire di no ad una proposta allettante solo perché va vagamente contro i nostri principi morali o perché la reputavamo brutta e cattiva il mese scorso. Parliamoci chiaro, nessuno sta parlando di truffare la gente, o bombardare un villaggio afgano per soldi; si parla di cose terra terra, come può essere l’opinione riguardo una persona o più di una, un film, un’azienda, una religione e quant’altro. Mica qualcosa di illegale ed immorale, sia mai che passi questo messaggio.

Concludendo questa enorme pippa mentale nonché post vagamente polemico vi lascio ad uno dei pezzi che più mi piace dei “Sei personaggi in cerca d’autore”, che è poi il pezzo a cui facevo riferimento all’inizio. Fate le vostre riflessioni su questo argomento e se sono diverse dalle mie fatemelo sapere così magari ci facciamo una chiacchierata. Buona lettura e spero di non avervi rotto troppo le palle.


IL PADRE: (quasi in sordina, con melliflua umiltà) Soltanto per sapere, signore, se veramente lei com'è adesso, si vede... come vede per esempio, a distanza di tempo, quel che lei era una volta, con tutte le illusioni che allora si faceva; con tutte le cose, dentro e intorno a lei, come allora le parevano - ed erano, erano realmente per lei! - Ebbene, signore: ripensando a quelle illusioni che adesso lei non si fa più, a tutte quelle cose che ora non le "sembrano" più come per lei "erano" un tempo; non si sente mancare, non dico queste tavole di palcoscenico, ma il terreno, il terreno sotto i piedi, argomentando che ugualmente "questo" come lei ora si sente, tutta la sua realtà d'oggi così com'è, è destinata a parerle illusione domani?

IL CAPOCOMICO: (senza aver ben capito, nell'intontimento della speciosa argomentazione) Ebbene? E che vuol concludere con questo?

IL PADRE: Oh, niente, signore. Farle vedere che se noi (indicherà di nuovo sé e gli altri Personaggi) oltre la illusione, non abbiamo altra realtà, è bene che anche lei diffidi della realtà sua, di questa che lei oggi respira e tocca in sé, perché - come quella di jeri - è destinata a scoprirlesi illusione domani.

IL CAPOCOMICO: (rivolgendosi a prenderla in riso) Ah, benissimo! E dica per giunta che lei, con codesta commedia che viene a rappresentarmi qua, è più vero e reale di me!

IL PADRE: (con la massima serietà) Ma questo senza dubbio, signore!

IL CAPOCOMICO: Ah sì?

IL PADRE: Credevo che lei lo avesse già compreso fin da principio.

IL CAPOCOMICO: Più reale di me?

IL PADRE: Se la sua realtà può cangiare dall'oggi al domani...

IL CAPOCOMICO: Ma si sa che può cangiare, sfido! Cangia continuamente, come quella di tutti!


IL PADRE: (con un grido) Ma la nostra no, signore! Vede? La differenza è questa! Non cangia, non può cangiare, né esser altra, mai, perché già fissata - così - "questa" - per sempre - (è terribile, signore!) realtà immutabile, che dovrebbe dar loro un brivido nell'accostarsi a noi!

mercoledì 26 agosto 2015

Saggezza

In una calda e lunga mattinata di luglio, un vecchietto molto simpatico al bar mi ha fermato e, con un sorriso di chi ha vissuto ormai settant'anni godendo di ogni piccola gioia che la vita potesse offrirgli, mi ha detto "ragazzo mio, non smettere mai di ridere di te stesso, nemmeno alla mia età, questo è il segreto per essere sempre felici e rimandare di qualche giorno l'inevitabile; non smettere mai di raccontarti battute e di farti ridere, perché ridere di e con noi stessi è l'unica cosa che ci rimane"; e dal niente mi ha regalato una caramella. Questo vecchietto in cui rividi mio nonno, anche se meno burbero e più affabile, mi torna in mente adesso su questo treno. In particolare mi ricordo delle sue parole, nel momento in cui mi sono fatto ridere pensando ad una cavolata davvero stupida. Ora mi chiedo come stia quel simpatico vecchino e quante altre cose avrebbe da insegnarmi con qualche chiacchiera in più. Ma d'altronde è così, non si può sapere chi ti rivelerà quale sia il suo significato della vita né quando, è solo un momento da carpe diem in cui ogni istante deve essere assorbito. In quel momento non riesci a rendertene conto, ma poi realizzi che chi se non un vecchietto al bar, con un cornetto ed un cappuccino davanti può essere il custode dei segreti della vita?!

mercoledì 18 febbraio 2015

Sensazioni passate (sotto il filtro Polaroid)

Nel sottotetto della casa di mia nonna, tra una collezione di vinili da far invidia ad una discoteca, oggetti di ottone senza categoria, rottami di soprammobili e tutte le anticaglie anni ’60 che vi vengono in mente, ho trovato anche una scatola contenente una Polaroid intatta e che sembrava funzionante. Così l’ho portata a casa per studiarne i dettagli, le caratteristiche tecniche, controllare se potesse avere un valore all’interno del mercato dei collezionisti, ma soprattutto per scoprire se potevo rimetterla in funzione ed utilizzarla. Ho scoperto che un oggetto come quello non ha un valore troppo diverso da quello che aveva nel suo anno di produzione, che a livello tecnico non è un granché, che veniva utilizzato prevalentemente da fotografi amatori in cerca di fotografie istantanee da scattare nei momenti più disparati, che è facile da usare, e che 8 pellicole costano 20€. Non c’era modo di sapere però se la macchina fosse o meno in grado di scattare foto senza acquistarne un pacco, di queste pellicole, visto che la batteria di questo strano oggetto proveniente direttamente dagli ’80 si trova proprio all’interno della cartuccia con le pose. Così quando Amazon mi ha recapitato questa scatoletta di 10x10 cm non mi rimaneva che inserire il suo contenuto nello scomparto inferiore della macchina, con tanto di tutorial seguito su youtube, per capire se sarei stato in grado di scattare qualche istantanea. Non nego che il momento in cui ho infilato quella cassetta ho avuto qualche brivido, e subito dopo, appena ho realizzato che c’erano parecchie possibilità che l’apparecchio funzionasse sono stato pervaso da una strana sensazione. Non saprei come definirla, era semplicemente strana, forse bella, sicuramente nuova ed inaspettata; e ho pensato solo successivamente da cosa potesse essere scaturita.
Prima parlavo di fotografi amatori che scattano foto istantanee nei momenti che loro ritengono importanti (non ho scritto così ma era quello che intendevo). Ebbene, ripensando a questo, mi viene in mente che tutto ciò non è poi tanto diverso da quello che si fa oggi, con i telefoni e con i social specializzati in fotografie tipo Instagram. È la stessa cosa, passata attraverso la galleria del tempo. Foto istantanee di cui poter usufruire quasi immediatamente e da poter condividere con tutti quelli (fisicamente) vicino a noi con la Polaroid; foto istantanee da poter modificare e condividere immediatamente con tutti i nostri “vicini” (anche metaforicamente stavolta) per Instagram, whatsapp o quant’altro.
Ma non era questa la sensazione nuova ed inaspettata che mi aveva travolto. Stavo per dire che è una sensazione perduta nel tempo e che torna direttamente dal passato, ma in realtà non so se sia proprio così. Immaginate un fotografo degli anni precedenti alla comparsa del digitale. Lui sa benissimo che ha un rullino in cui il numero di fotografie che potrà scattare è limitato e che perciò dovrà stare attento a come scatta, alla luce, al movimento, alla messa a fuoco, alla distanza; ora dategli una macchina digitale: forse scatterà fotografie di dubbio interesse che non avrebbe mai voluto fare prima, ma queste fotografie saranno fuori fuoco, con la luce sbagliata o sgranate? Non credo. Perché il retaggio della precedente macchina lo obbliga a scattare fotografie in un certo modo, anche avendo tutta una memory-card da sprecare (sto sempre parlando di fotografi non professionisti). Per questo credo che tornare indietro e cercare di pensare allo stesso modo di come avrebbero fatto nel passato non è il modo più corretto per provare a descrivere questa sensazione. Pensavo quindi ad un uomo che per anni ha avuto la possibilità di mangiare qualsiasi tipo di cibo, assaggiare ogni tipo di cucina o cultura e di punto in bianco gli viene detto: “Scegli 8 diversi piatti da mangiare per il resto della tua vita. Non devi sceglierli tutti insieme, ma una volta scelto uno non puoi più cambiare idea, e così via per tutti ed 8.”
Sì credo che questa di metafora sia più azzeccata, anche se un po’ crudele.
E così passo le giornate accanto alla mia Polaroid, con l’anima ed il cuore divisi, come un novantenne cardiopatico con la fissa per il sesso violento: ogni volta può essere l’ultima, ma non può farne a meno. Vivere sempre col fiato sospeso tra il “voglio fare una foto” ed il “non devo abusarne”; tra il “non posso portarla ovunque” ed il “se quell’attimo fosse unico e non tornasse?”. Lo so che non sembra un grandissimo problema, so anche che effettivamente non è un problema, ma è bello estraniarsi anche solo un attimo dal mondo e pensare che sia la scelta più difficile da fare, se non della vita almeno della settimana.
Ne ho fatta una intanto. Tecnicamente non è il massimo, i colori sono sbiaditi, confusi e anche un po’ diversi dalla realtà, non è nitida, un po’ sgranata, ma cosa devo dirvi a me piace da morire (e non solo per il soggetto della foto). Il tutto nell’insieme la rende così squisitamente anni ’80, così assolutamente retrò che se fotografassi il mio computer mi aspetterei di vedere sviluppato un commodore 64 . Mi sembra impossibile da odiare un oggetto che fa fotografie del genere, almeno per quanto mi riguarda. Potete anche ritenere da sfigati questa enorme attrazione verso il vintage e gli anni ’80, francamente sticazzi.
Per non parlare poi del momento in cui la posa esce, completamente blu, e bisogna aspettare il tempo necessario affinché i colori e i componenti chimici reagiscano. Un’attesa pregna di pathos che che ve lo dico a fa’!
(E voi, che piatti avreste scelto da mangiare per tutta la vita?)

venerdì 3 ottobre 2014

Cattivo amico per amici incredibili

Quando ho visto che mi avevate scritto ho provato un misto di sensazioni contrastanti: da un lato ero davvero molto contento di risentirvi ed avere addirittura la possibilità di rivederci, ma dall’altro mi sarei voluto sotterrare dalla vergogna e dall’imbarazzo. Imbarazzo per essermi comportato da perfetto stronzo, dimostrandovi ben poco l’amicizia che invece voi molto spesso avete messo nei miei confronti, perché sono sparito per quasi 8 mesi così dal nulla senza nemmeno spiegarvi la mia difficoltà; ed enorme vergogna, perché chissà se e quando avrei trovato il coraggio di cercare il vostro nome sulla rubrica del telefono per scrivere un messaggio, anche stupidissimo. Avevo anche un po’ paura di rincontrarvi, perché chissà cosa avreste pensato di me, mi avreste odiato? Giudicato?  Trattato di merda come mi sarei anche meritato?