Procedo tranquillo per la strada, illuminata da
lampioni ed alcune insegne dei bar. La luna splende alta, regina assoluta della
volta celeste, faro contrastante in un mare di buio.
Passo dopo passo, procedo ma mi sembra di star fermo,
sempre la stessa luce e le persone sedute ai tavoli dei cafè mi sembrano tutte uguali, ferme, ma cambiano, sempre diverse
ora dopo ora.
I colori squillanti mi accompagnano nella mia
passeggiata e ad ogni secondo che passa mi donano un’emozione diversa,
irripetibile, che posso solo ricordare, non riprovare né descrivere.
Fisso l’interno del bar. C’è il barista che asciuga
il bancone con faccia ridente ed accomodante, alle prese con una divertente
discussione col suo cliente. La luce è calda ed accogliente nel locale. Essa mi
chiama e quasi mi decido ad entrare. Prima però mi soffermo a leggere il menù
di fuori per leggere il piatto del giorno e pregustarlo, mentre faccio una
rapida stima degli spiccioli che mi rimangono. Non è moltissimo ma questa via è
rinomata per il cibo buono a basso prezzo, e l’atmosfera familiare vale tutte
le poche monete nella mia tasca.
Sto per entrare e già assaporo il piacere di sentir
tintinnare la campanellina sopra la porta e venir investito dall’odore di pollo
con patate, pane caldo e torta di mele, quando di botto, l’allarme.
Tutti si guardano intorno spauriti, spaesati,
cercando di capire cosa sia successo. La guerra, una bomba, un attentato, una
rapina. In un attimo tutte le persone non sono più interessate alla mostra di
Van Gogh, ma si focalizzano su quello che succede attorno a loro, accantonando
l’arte per far spazio alla curiosità.
D’un
tratto sono i quadri che guardano gli spettatori.
Finale
alternativo:
E
tutti guardano, si fermano, ammirano, si fossilizzano, sull’unico posto vacante
nel muro in quella mostra, da cui si staglia l’impronta di ciò che c’era prima.
Tutti gli altri quadri non importano; è quello vuoto che attira l’attenzione su
di sé.