venerdì 4 aprile 2014

Drogato

Da poco mi sono reso conto di essere drogato. Ma non uno di quelli che si fa di cocaina, metanfetamina, acidi o chissà che. Sono drogato di cose “belle”, che poi quando sei in astinenza non sono poi così belle.

Sono drogato di situazioni, di emozioni, di sensazioni.


Mi drogo di alcune persone in modo così rapido e distruttivo che vado subito in assuefazione, la mia mente chiede di più e di più e ancora di più, fino a quando diventa un bisogno fisico, una mancanza, un bisogno impellente di parlarci o starci insieme. E poi, da buon dipendente, è il momento di disintossicarsi e poi della riabilitazione. Ma la dipendenza è un demone paziente come il destino e che risorge come una fenice. E quindi il ciclo continua.

Sono drogato di alcune serie tv, sono drogato di sonno, sono drogato di pallacanestro ma ogni tanto mi faccio anche di qualche altro sport. E di cibo.
Sono drogato di viaggi, anche se non mi faccio una dose da anni.

Sono da sempre drogato di amore. Ed è per questo motivo che sbaglio tante tante cose e tante tante volte. Perché c’è sempre quella pulce nel mio orecchio e chissà se se ne andrà mai; esattamente come il ricordo di un cibo che mangiavate solo quando eravate tanto piccoli ma che vi piaceva da morire: potreste sentire quel sapore in bocca, adesso, se ne aveste voglia. E  così nella mia testa c’è sempre quella lucina intermittente, flebile di lucciola che mi ricorda come sono stato e mi spinge a riprovare quelle sensazioni, a “farmi ancora”. Ma mi hanno spacciato solo amore tagliato male.

Sono drogato di tramonti, di albe, di nuvole, di passeggiate sulla spiaggia.

Sono drogato di Roma, perché non si può non essere drogati anche di lei.

Lo ammetto, sono anche drogato di sesso, ma chi non lo è?!



E di libri. Credevo di essermi disintossicato, e invece eccomi qui, a sedermi sulla scalinata di trinità dei monti a leggere, a chiedere un caffè ed un muffin alla barista della Feltrinelli perché sticazzi mi fermo un’ora in questa caffetteria ed inizio il libro che ho appena comprato di sotto; e pure un succo di frutta che sto muffin m’è rimasto un po’ in gola, grazie. A bramare un mezzo di trasporto su cui sedermi per leggere, a sperare egoisticamente che sia in ritardo per poter leggere di più. Contare le pagine che mancano alla fine del capitolo, e del prossimo, e di quello dopo ancora, e del libro per vedere se riesco a finirlo prima di arrivare a casa. A saltare i paragrafi per sapere cosa succede dopo, con occhi golosi, vogliosi, di chi vede una ragazza che si spoglia alla finestra del palazzo di fronte e se ne va sul più bello; di chi ha bisogno di iniettarsi qualcosa nella corteccia cerebrale. A scusarmi con il libro per non essermelo gustato fino in fondo, spinto da questa maniacale voglia di andare oltre, di volerne ancora e ancora e ancora. Ad innamorarmi dei personaggi, a condividere le loro esperienze, a sentire le loro emozioni, a piangere quando muoiono e piangere quando si innamorano. Ad essere arrabbiati con l’autore quando finisce il libro perché ha ucciso uno di loro, per non aver inserito altre 300 pagine che te ne avrebbero fatte chiedere altre 400, a mandarlo affanculo perché ti ha fatto innamorare di una persona che esiste solo su carta e che tu invece andrai a cercare in giro per mesi, sperando che qualcuno almeno un po’ ci assomigli.

Che dite, valgono come droghe?

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